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Desert Challenge 2004 - Libia
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LE TAPPE




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Mi alzo all’alba. Gli altri componenti della spedizione partono verso l’aeroporto, io verso il confine con la Tunisia, verso Ovest. Tutto d’un fiato, ed alla frontiera la burocrazia è più agile rispetto al mio ingresso in Libia. A ora di pranzo sono a Djerba, poi mi riposerò fino alla mattina successiva. 550 km, ancora in soluzione unica, il porto di Tunisi e l’imbarco. Ancora riposo sulla nave che mi riporta in Italia: del resto non c’è molto da fare se non ripensare, sedimentare l’esperienza del Desert Challenge Libia 2004. Una spedizione? Un raid? Un viaggio? Penso piuttosto ad un’esperienza, una ancora della serie che mi lega all’ambiente ed alle atmosfere piùintense della mia vita. Forse tra un mese sarò di nuovo su una maccchina da corsa, su un ‘altro deserto, di nuovo a fondo. Lì, ancora, avrò modo di pensare al prossimo Desert Challenge.Sono tanti i deserti del nostro pianeta!

Tripoli

750 km separano Sabha da Tripoli, sulla stessa pista rettilinea dell’andata.Tornare è ancor più noioso, è una lotta continua contro la stanchezza e la fretta di arrivare, ben diversa dall’ansia di scoprire. E poi è solo strada, quasi deserta fino alle porte della Capitale. Ritrovo il caos “misurato” della città, le vie affollate che avevo già conosciuto al mio arrivo, l’architettura degli edifici lasciati in (brutta) eredità proprio da noi italiani in un periodo non proprio esaltante. Lascio la moto in albergo, con i bagagli ancora sopra. Non c’è pericolo. Qui sono tutti molto corretti, tranquilli, e l’ospitalità sembra essere davvero una cosa sacra. C’è un’ultima destinazione importante che mi aspetta. Un trancio di ricciola alla brace, in compagnia dei miei compagni e di Abdelohab, la mia eccezionale guida in questa edizione del Desert Challenge. L’aria fresca del Mediterraneo è il miglior corroborante. La fatica è spazzata via.

Lakes

Sono sulla via del ritorno, ma mi resta una spina nel fianco. Ho molta strada da fare ed un appuntamento con un traghetto 2.000 km più avanti, ma poco a Nord il deserto libico nasconde, tra le pieghe delle dune della Ramla Dauada, una piccola costellazione di laghi salmastri. Deciso, abbandono la pista principale per cercarli. Sabbia molle, la temperatura sale, ed il GPS indica una meta non lontana. Strano, sembra impossibile, ma all’improvviso eccoli. No, ecco il primo, Mandara: secco, solo i resti di un villaggio touareg abbandonato. 4 km più avanti, ed ecco il premio all’ansia incontrollabile del fuoripista. Oum El Ma è una pietra preziosa, uno smeraldo incastonato tra le dune. Magnifico! Adesso il mio viaggio può dirsi compiuto.

  

L’Akakus

Quando ho progettato il Desert Challenge Libia 2004 l’idea mi era venuta da un passaggio di una mia Dakar per questa valle incantevole. Mi ricordo che, mentre passavo a 200 all’ora, ho trovato il tempo di pensare: qui dovrò tornarci, per vedere meglio e capire. A distanza di due anni mi trovo di nuovo in questo paradiso, delimitato dal massiccio di rocce modellate dall’erosione. Sono sculture della natura, imponenti e maestose. Chi dice che il deserto libico sia il più bello del mondo non ha tutti i torti. Archi naturali, dipinti ed incisioni rupestri che testimoniano di una natura precedente rigogliosa e di un paesaggio affollato di animali. Oggi è tutto giallo e rosso scuro, e verde quando le isolate precipitazioni fanno esplodere una fioritura fenomenale. C’è acqua, anche se bisogna andarla a cercare nella profondità del deserto, e c’è la famiglia di un vecchio di ottant’anni che è l’unica sedentarizzata da generazioni in questo angolo del mondo.


    

Ghat

Ancora strada e pista rettilinea. La Libia mi sembra una piccola Mongolia, che è stata la protagonista di un precedente Desert Challenge, eppure sto attraversando il Fezzan, la regione desertica di Sud-Ovest grande come la Francia. Ho rinunciato ai laghi, almeno per il momento. Vorrei raggiungere l’estremo Sud del Desert Challenge Libia 2004 e poi risalire con calma. Ghat, però vale la pena di essere visitata. E’ una delle città storiche del nomadismo del deserto, a pochissimi chilometri dal confine Algerino. Tappa importante dei percorsi carovanieri, stazione oggi in disuso, poiché sale, spezie, e schiavi, non sono più merce di scambio molto attuale e redditizia (sopratutto questi ultimi). La città vecchia, ancora abitata, ha mantenuto il suo spirito urbanistico ed architettonico originale, e così pure la fortezza. Un altro tuffo indietro, nel passato ed in una cultura diversa, che ha saputo dire la sua quando la nostra aveva altro a cui pensare.

  

Verso Sabha

Mi muovo ad una velocità inconsueta. So di avere una destinazione, ma non si trata di un obiettivo spietato come quellli che ogni giorno scandiscono la vita di un pilota. La mia moto corre tranquilla, la strada è dritta, un asse interminabile che percorro verso Sud. E penso. Penso, per esempio, che il deserto è un luogo sul quale si può tracciare una via rettilinea per raggiungere un punto lontano. Penso a questo Paese tranquillo, che sembra aver adottato una “tattica attendista”. Ha petrolio, acqua, cultura. Ha, insomma, risorse. Ma aspetta, sembra non decidersi a decollare. Forse aspetta di vedere, per evitarli, gli errori del progresso dei Paesi vicini. Il Desert Challenge Libia 2004 inizia a Sabha, la città della “prima scintilla” della rivoluzione bianca di Gheddafi. Non è una bella città, non ha niente da ricordare, e forse è proprio per questo che il suo nnome significa “abbandonata”. La leggenda dice che fu proprio Allah ad abbandonare questo luogo al suo destino. Forse non piaceva neanche a lui.

   

Leptis Magna

Risuonano, gli stivali sul lastricato di Leptis Magna. Rumori secchi che innescano un’eco di pensieri a cavallo tra due mondi e due epoche, distanti duemila anni e separati da un abisso di culture che si sono avvicendate. Su questa stessa pietra hanno camminato uomini e donne a piedi nudi, o con calzari di cuoio. Penso subito che dovevano avere tutt’altra cognizione del tempo e dei ritmi che questo impone alla vita stessa. Io mi muovo di passaggio, per non perdere un’occasione, loro si muovevano per costruirne una, e solidificavano il mito di bellezza e perfezione di questa città sepolta per un millennio sotto la sabbia, e restitituita a noi perchè anche i miedi stivali da moto possano consentirmi di muovermi in questa esperienza ineguagliabile.


Ogni volta che parte un Desert Challenge ho bisogno di bussare alla porta del Paese che mi ospita. Non mi piace invadere, e vorrei sempre essere accolto con rispetto. Per ottenere questo privilegio devo conquistarlo, non lo voglio di diritto. Devo cominciare con calma, e conoscere prima di tutto la gente, ed averne rispetto, Per riuscire a fare questo non c’è niente di meglio che mescolarsi tra la folla, seguirne il flusso, cercare di capirne le motivazioni. Con attenzione. A Tripoli la gente lavora nei grattacieli, come da noi, e per strada, ma vive tra le vie della città vecchia, nei mercati che anima, nelle moschee dove si riunisce per pregare. Troppe volte ho visto i turisti pontificare, sentenziare e liquidare la gente alla sola prima impressione. A volte mi sono sentito costretto a vergognarmi di essere italiano. Io non giudico, ascolto, e di solito parlo solo se sono invitato o per rispondere alle domande che mi vengono poste. Così si entra in una comunità, e se ne è accolti.